L’arte dell’aperitivo: storia e curiosità sul rito italiano più amato nel mondo

Che cosa sia l’aperitivo — e perché sia diventato un rito irrinunciabile per milioni di persone in tutto il mondo — è una storia complessa, stratificata, che affonda le radici nella tradizione e si proietta con dinamismo nel futuro. Ne abbiamo parlato con i ragazzi della Spritzeria Molo22, a Cannobio, con cui abbiamo ripercorso la storia dell’aperitivo.
Alle origini dell’aperitivo: Torino e l’invenzione di un rituale (fine ’700 – ’800)
La parola aperitivo viene dal latino medievale aperitivus, “che apre” — in origine un aggettivo medico riferito a sostanze che stimolano le secrezioni gastriche. Solo più tardi il termine scivola a indicare la bevanda (e poi il rito) che “apre” l’appetito prima del pasto. Questo passaggio semantico è cruciale per capire come un concetto terapeutico diventi una pratica sociale.
Sul piano materiale, l’atto che consolida l’aperitivo moderno è la produzione su scala del vermouth a Torino: nel 1786 Antonio Benedetto Carpano avvia un modello “industriale” che standardizza una specialità piemontese e la proietta nella sfera urbana borghese. Le cronache cittadine collocano la bottega in Piazza Castello, simbolicamente nel cuore della capitale sabauda. Qui la bevanda smette di essere solo un “rimedio” e diventa pretesto conviviale — un gesto di sociabilità prima della cena.
L’aperitivo come fenomeno sociale: da Milano all’Italia intera (anni ’50–’80)
Nel secondo dopoguerra, l’Italia vive un riequilibrio dei consumi e una trasformazione degli stili di vita. La crescita dei redditi, l’urbanizzazione e la diffusione di nuovi modelli di tempo libero mutano i comportamenti: il bar diventa luogo di passaggio e incontro, una “terza sfera” tra casa e lavoro dove ci si riconosce come cittadini, si scambiano notizie, si costruiscono appartenenze leggere. L’aperitivo, inserito in questa geografia della quotidianità, consolida la sua funzione relazionale.
Negli anni Ottanta entra in scena il lessico mediatico: la “Milano da bere” — slogan creato dal pubblicitario Marco Mignani nel 1985 — cristallizza un immaginario edonista, urbano, cosmopolita. Più che creare il rito, lo spettacolarizza: la socialità spontanea diventa format comunicabile (e vendibile), ponte tra marketing e costume. È qui che l’aperitivo assurge a simbolo di modernità italiana, con tutti i suoi equivoci: glamour sì, ma anche rischio di riduzione del fenomeno a pura immagine.
L’aperitivo oggi: identità italiana e fenomeno globale
Prima di seguirlo nel mondo, chiariamo i termini. In senso stretto aperitivo è il rito pre-cena: un tempo breve, socialmente denso, più della somma dei suoi ingredienti. Happy hour è invece una formula commerciale (sconti, promozioni) di origine anglosassone, arrivata in Italia negli anni ’90 e spesso confusa con l’aperitivo. Apericena, infine, è un ibrido lessicale oggi registrato e discusso anche dalla Crusca, dove stuzzichini e buffet dilatano il rito fino a sostituire la cena. Distinguere questi piani evita di appiattire un patrimonio culturale su una mera offerta di prezzo.
La codifica internazionale rafforza l’identità del rito: l’International Bartenders Association include tra i suoi classici diversi cocktail da aperitivo — Negroni, Americano, Spritz, Bellini — fissando ricette “standard” riconosciute globalmente. La standardizzazione non sterilizza il gesto: anzi, lo rende trasferibile e riconoscibile, contribuendo all’export culturale dell’Italian lifestyle.
Sul mercato globale 2024–2025, la famiglia degli spritz fa da cassa di risonanza planetaria. L’Aperol Spritz continua a incarnare la “sigla dell’estate” in molte scene mediatiche internazionali, complice un’immagine cromatica fortissima e un profilo low-ABV. Nel 2025, l’Hugo Spritz (prosecco + soda + liquore ai fiori di sambuco) conquista il centro della scena social e mainstream, mentre cresce l’interesse per varianti come il Limoncello Spritz: segnali di un gusto che ricerca leggerezza, aromaticità, bevibilità. Queste onde mediatiche non cancellano il carattere italiano del rito: lo traducono in linguaggi locali, mantenendo l’idea di un tempo sospeso, conviviale, prima del pasto.
Qui entra in gioco il soft power: istituzioni culturali e turistiche promuovono all’estero l’immaginario enogastronomico del Paese, e l’aperitivo diventa un format narrativo capace di connettere turismo, città e quotidianità — una vetrina di “italianità” più efficace di molte campagne tradizionali perché esperienziale e replicabile. In questo senso, ciò che si beve è importante; ciò che si condivide lo è di più.